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Esperidina e SARS-CoV-2 – riferimento all’articolo del Dott. Paolo Bellavite

L’esperidina deriva dalla parola “hesperidium”, nome latino dei frutti prodotti dagli alberi di agrumi. Fu isolata per la prima volta nel 1828 dal chimico francese Lebreton dallo strato interno bianco delle bucce di agrumi (mesocarpo, albedo). Si ritiene che essa svolga un ruolo nella difesa delle piante. L’esperidina e, molto indietro, la naringina, rappresentano più del 90% dei flavonoidi nelle arance dolci. Secondo una recente revisione, il contenuto di esperidina in 100 ml di succo è: arancia 20–60 mg, mandarini 8–46 mg, limone 4-41 mg, pompelmo 2-17 mg. Ciò significa che possiamo assumere circa 100 mg di esperidina in un grande bicchiere di succo d’arancia. Sulla base di questi dati si può affermare che la scelta dei frutti più adatti per un migliore apporto di esperidina potrebbe essere fatta tra arance, mandarini e clementine, in base alle preferenze individuali e ai costi.

Tutti sanno che il virus SARS-CoV-2 è una causa, assieme ad altre condizioni predisponenti, della malattia COVID-19, che in alcuni soggetti infettati può diventare molto grave. Mancando un vaccino efficace e sicuro e mancando “un” farmaco sicuramente efficace (ciò è dovuto anche alla complessità della malattia che ha molte diverse espressioni in diversi individui), la ricerca farmacologica si rivolge alle più svariate tecniche di indagine.

La struttura legata del frammento della proteina “spike” del SARS-CoV-2 con la proteina del recettore cellulare ACE2 è considerata un possibile bersaglio terapeutico per il trattamento della SARS-CoV2.

L’esperidina è tra le primissime sostanze di origine naturale che ha mostrato capacità di legame alle proteine del virus SARS-CoV-2, mediante screening molecolare “in silico” (simulazione delle interazioni tra diverse proteine). Le proteine virali identificate come possibile bersaglio dell’esperidina, sono sia la spike, sia gli enzimi necessari alla replicazione. Qui parliamo della prima.

Wu e collaboratori hanno testato 1066 sostanze naturali con potenziale effetto antivirale, più 78 farmaci antivirali già noti in letteratura, per il loro legame alle proteine SARS-CoV-2. Di tutte le sostanze testate, l’esperidina era la più adatta a legarsi alla spike, perché aveva l’energia di legame più bassa.

Nella simulazione, Wu e coll. hanno è notato che l’esperidina si colloca nel solco medio poco profondo della superficie di RBD (receptor-binding-domain: sito di legame al recettore) di spike, dove la parte diidroflavone del composto va parallela al foglio β-6 di RBD.

Questo risultato è stato confermato con un approccio diverso da altri autori. Ad esempio, nello studio di Basu et al. pubblicato da Scientific Reports viene utilizzato proprio il frammento di glicoproteina spike che si lega con il recettore ACE2 umano, in un modello tridimensionale.

Nella figura da me ricostruita sulla base dei risultati di Basu e collaboratori si vede il legame della proteina ACE2 della cellula umana con la proteina “spike” del coronavirus SARS-CoV-2 in presenza di esperidina. La punta della proteina spike (quella che si va a legare col recettore cellulare) è mostrata in colore rosso, l’ACE2 umano è mostrato in colore blu e la molecola di esperidina è mostrata in mezzo, rappresentata in un modello “a bastoncini”. L’ancoraggio di esperidina alla spike è stabilizzato da due legami idrogeno (mostrati in figura con linee verdi) tra l’anello fenolico dell’esperidina e due aminoacidi (precisamente PHE457 e GLU 455) della proteina spike.

L’affinità di legame dell’esperidina è di – 8,639 kcal / mole. Questo risultato indica che a causa della presenza di esperidina, la struttura di ACE2 e del frammento di proteina spike diventa instabile. Di conseguenza, questo prodotto naturale può impartire attività antivirale nell’infezione da SARS CoV2 come modulatore non competitivo. Confrontata con la capacità di legame della idrossiclorochina allo stesso complesso molecolare, l’esperidina è leggermente migliore.

Questi risultati sono stati confermati da Belhoul e coll., che hanno eseguito lo screening virtuale di ampie librerie di farmaci approvati, antivirali, inibitori delle interazioni proteina-proteina e ben un milione di altre piccole molecole, per identificare quelle leganti del dominio di legame del recettore SARS-CoV-2 (RBD). Secondo i predefiniti criteri di selezione, sono stati identificati come potenti leganti del RBD tre antivirali già approvati (elbasvir, grazoprevir e sovaprevir) e altre quattro sostanze (esperidina, pamaqueside, diosmina e sitogluside). Il legame di queste molecole ha coinvolto diversi residui del RBD, necessari per l’interazione del virus con il suo recettore cellulare. Secondo le energie di legame, il farmaco per l’HCV Elbasvir era il legante di grado più alto (−9 kcal / Mol) che interagiva con 16 residui del RBD ma con solo 3 legami idrogeno. Tuttavia, in base al numero di legami idrogeno formati durante il legame, il bioflavonoide esperidina si presenta al primo posto con 13 legami idrogeno e interagendo con 13 residui del RBD del SARS-CoV-2.

In conclusione, l’esperidina è un promettente candidato a diventare un rimedio verso il coronavirus, bloccando la sua capacità di legame alle cellule umane. L’arancia e altri agrumi sono pertanto i frutti più interessanti per questo tipo di protezione. Ciò non significa che chi mangia arance sia sicuramente protetto dall’infezione, sia chiaro! Il problema, infatti, riguarda due aspetti cruciali: le dosi necessarie alla sua azione e la necessità di studi clinici di efficacia condotti con criteri rigorosi. Per quanto riguarda le dosi, allo stato attuale delle conoscenze è probabile che quelle necessarie a bloccare il virus nei liquidi biologici (sangue e linfa) o nel polmone siano superiori a quelle che si raggiungono con la normale alimentazione. D’altra parte, siccome è noto che il virus infetta anche la bocca e l’apparato digerente, almeno in quelle posizioni anatomiche è probabile che le concentrazioni del principio attivo siano molto maggiori e quindi capaci di ostacolare, almeno in parte, l’attacco virale.

Sull’efficacia, studi osservazionali su popolazione (ad esempio confrontando gruppi di soggetti che si alimentano in modo differente, a parità di altri fattori confondenti) potranno dare indicazioni interessanti, mentre studi clinici di intervento ben condotti potranno dirimere la questione. Comunque, in attesa di risultati più sicuri, credo che sia interessante conoscere lo stato delle ricerche scientifiche su un argomento di nutrizione della primaria importanza.